Le “Madonnelle” sono la testimonianza di una religiosità popolare e l’espressione di una tradizione radicata che coinvolge anche la sfera artistica, sociale e politica di Roma.
Si tratta di edicole sacre, quasi sempre di soggetto mariano, che si trovano agli incroci delle strade, agli angoli o sulle facciate dei palazzi. Ciò che le accumuna è il senso di protezione, poiché venivano poste a salvaguardia di un determinato luogo. Sono realizzate nelle forme e nei materiali più vari. Ci sono quelle in stucco, in ceramica, in marmo, ma si trovano soprattutto dipinti su tela, affreschi e mosaici.
Anche se vengono inserite nella cosiddetta “arte povera”, in realtà alcune edicole sacre sono riccamente abbellite, soprattutto con cornici di varie forme e di materiali diversi.
A livello temporale la loro origine è molto varia. La maggior parte di quelle conservate si datano tra il XVII e il XIX secolo. Poche sono quelle conservate di epoca medievale. Ne esistono anche di più recenti, ma in quantità numerica inferiore.
Quelle più antiche sono spesso accompagnate da un’iscrizione riguardante il miracolo a cui sono legate. Una tipica caratteristica delle Madonnelle è difatti la loro associazione a “eventi prodigiosi” come per esempio il movimento degli occhi.
Il 19 giugno 2021 abbiamo inaugurato il ciclo di visite guidate dedicate agli adulti con una passeggiata nei rioni Campitelli e sant’Angelo.
Abbiamo avuto l’opportunità di osservare diverse edicole sacre, riconoscendone le caratteristiche, raccontando le curiosità e ricordando le leggende a cui sono legate.
Ma non abbiamo parlato solo di “Madonnelle”. Abbiamo anche visitato due importanti rioni, il X e l’XI, ricchi di monumenti e storia, ma anche maggiormente colpiti dagli sventramenti di epoca fascista.
La chiesa di Santa Maria in Campitelli ha rappresentato il momento centrale della nostra passeggiata.
Oltre ad essere un monumento unico dal punto di vista artistico e architettonico, è anche un luogo sacro molto importante, in quanto custodisce al suo interno la Romanae Portus Securitatis, “Porto della salvezza di Roma”.
La sua origine e devozione, infatti, è legata a vari miracoli, tra cui i più importanti furono la fine della peste nel 1656 e l’aver salvato Roma da un terribile terremoto nel 1703. La miracolosa immagine è un singolare lavoro in lamina d’argento dorato, davvero difficile da osservare, in quanto misura 26 cm d’altezza e 20,5 cm di larghezza.
Sappiamo che l’icona raffigura la Vergine con il bambino in braccio, secondo la diffusa iconografia bizantina dell’Odigitria.
Secondo le fonti l’opera era conservata in Santa Maria in Portico fin dal XII secolo e quindi andrebbe datata ad un periodo precedente. Tuttavia, è difficile dare una datazione precisa in quanto mancano opere simili di raffronto. Così varie sono le ipotesi: secondo alcuni studiosi si può collocare al secolo X, mentre secondo altri si può anticipare ai secoli V-VI. Non sappiamo neanche il nome dell’artista, ma molto probabilmente si può attribuire a qualche bottega d’arte o a qualche scuola monastica.
Questa piccolissima icona ci ha accompagnato durante l’intera passeggiata, poiché se ne trovano moltissime copie all’interno del Ghetto, a volte accompagnate da iscrizioni che ricordano l’anniversario dell’evento miracoloso.
L’intera città di Roma è abbellita da edicole sacre, per scoprirle basta soltanto camminare più lentamente, alzare lo sguardo ed osservare…